venerdì 7 febbraio 2014

"Dogtown" – Robert Prester (Usa)

Recensire un disco jazz se non si è esperti di jazz è un'operazione come minimo azzardata. Perciò quella che segue non è tanto una recensione, quanto una serie di suggestioni.
Partiamo dal fatto che Robert Prester, virtuoso pianista newyorkese, è un personaggio di cui si hanno poche notizie. Egli stesso nei suoi profili su internet parla poco di sé.
Dogtown consta di dieci nuove tracce, suonate con un'orchestra composta da un bassista (il mostruoso Nick Orta), un batterista, un percussionista, un elemento ai fiati e, per tre brani, di una vocalist.
Si parte con "Vincenzo's blues", pezzo dall'approccio moderno, alla "Weather report", seguito dal richiamo caraibico di "Beneath wind's shadow" e dalle ritmiche al limite tra prog e fusion della title-track. Introdotta da un lungo preludio solista dello stesso Prester, la meravigliosa "Real of possibility", seguita dalla quieta "Toy soldiers" e da un intermezzo di percussioni.
"Noches de Sevilla" è il primo brano in cui figura anche la voce, che rimane relegata a strumento musicale, senza testo. Si torna su note decisamente più americane con "The profecy" e "Sewing circle"(la quale 'sfora' piacevolmente nel bossanova), per chiudere in bellezza con "Bite size steps".
Ciò che colpisce di questa pubblicazione è l'articolazione realizzativa, una sintesi di tecnicismo e raffinatezza che permette di godere dei suoni anche una audience più ampia di quella più avvezza al jazz.

Fortunatamente disponibile su Spotify.

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